Indice per punti:
- Vamemequm – servizio sociale professionale e post pandemia (Giugno 2020)
- #NessunoRestiIndietro
- Contributi 20/04/20
- Circolare 16/03/20
- Rassegna Stampa 25/03/20
SERVE CAMBIARE ROTTA– Riflessioni di un’assistente sociale di territorio
Il 20 gennaio 2020 è una data destinata a entrare nella storia: il Presidente della Cina rende noto al mondo l’epidemia da Coronavirus, già in corso nel suo Paese.
Il 21 febbraio l’Italia viene raggiunta dal contagio, il primo malato a Codogno in Lombardia.
Attualmente la pandemia si è diffusa in tutto il mondo, ufficialmente più di 200mila vittime e quasi tre milioni di contagiati, ma gli scienziati dicono che le cifre sono molto, molto superiori.
Tutto si è fermato: scuole, aziende, negozi, cinema, ristoranti… sono chiusi.
Siamo stati costretti a rimanere in casa per evitare il diffondersi dell’epidemia (lockdown).
Abbiamo sperimentato la morte che passa vicina, le sirene delle ambulanze che spezzano le città silenziose.
Nemmeno i funerali delle tante vittime possono essere celebrati; i defunti addirittura non trovano più un luogo dove riposare, esiliati altrove su colonne di camion dell’esercito.
Responsabilità, prudenza, disciplina, rispetto delle regole ci vengono chiesti ripetutamente dai nostri governanti e dalla comunità scientifica.
Rispetto della verità
In questo periodo di smarrimento sociale, mi ha profondamente turbata che sui social circolino false informazioni sulla pandemia, grazie alla complicità di chi le crede vere e le diffonde. Non è una complicità senza colpa.
In questi tempi di incertezze, di ansie, di paure, una bugia può fare molti danni. Sono la salute e la vita stessa delle persone a venire messe in pericolo. Continuo a ricevere telefonate da persone, da famiglie con disabili per avere chiarimenti su notizie lette o sentite, che non corrispondono a verità. È mio dovere tranquillizzare tutti, e ciò è possibile perché le mie fonti di conoscenze provengono dalla comunità scientifica. Serve una vera e propria ecologia della comunicazione e della parola.
Anziani non protetti sufficientemente
Mi ha colpito il fatto che la sanità non sia riuscita a proteggere i nostri nonni, i nostri anziani, i disabili nelle loro abitazioni, ma soprattutto nelle case di riposo (RSA).
Troppi sono gli anziani morti in un silenzio assordante.
Il mondo delle case di riposo, in realtà, è un’emergenza nell’emergenza che tocca almeno tre ambiti:
- l’ambito familiare: per tutti quei nuclei che si ritrovano “costretti” a separarsi da un loro membro anziano o disabile (spesso in entrambi le condizioni) perché politiche sociali e modelli prevalenti economico-lavorativi non considerano prioritario il sostegno in varie forme alle famiglie e le svantaggiano;
- l’ambito prettamente sanitario, oggi più che mai attuale e che motiva l’urgente richiesta a chi di competenza di interventi che garantiscano la sicurezza degli ospiti, degli operatori socio-sanitari e del personale tutto;
- e infine l’ambito umanitario: basti pensare alla paura degli anziani soli in casa o nelle case di riposo. Proviamo solo a immaginare l’aggravarsi del senso di solitudine che porta, talvolta, a quella “stanchezza” e a quella rassegnazione che sono la perdita del senso, dello scopo per cui vivere.
La vita che siamo chiamati a promuovere e a difendere non è un concetto astratto, ma si manifesta sempre in una persona in carne e ossa.
Ogni vita umana, unica e irripetibile, vale per se stessa, costituisce un valore inestimabile.
Questo va annunciato sempre con il coraggio della parola e il coraggio delle azioni.
Minori vulnerabili, S.O.S. dei servizi sociali
Lo chiamano “stress violento da quarantena forzata” il rischio corso da troppi piccoli vulnerabili che vivono in situazioni di gravi fragilità familiari. Sono le situazioni ad alto rischio che si determinano quando, in un quadro familiare spesso già compromesso, le persone sono costrette a cambiare le proprie abitudini, a condividere spazi spesso insufficienti, ad accettare dinamiche che anche prima dell’emergenza sanitaria erano sopportate a fatica. Facile intuire che, in questo contesto, violenze, maltrattamenti, episodi di grave intolleranza siano stati numerosi, anche se è impossibile stilare una statistica. Le due fonti più significative da cui arrivavano queste segnalazioni, la scuola e i servizi sanitari, sono state entrambe spente dal coronavirus. Mentre i servizi sociali hanno funzionato a regime ridotto. Anche i centri diurni per disabili (CEOD) sono chiusi e queste persone sono costrette a vivere rinchiuse nelle loro abitazioni.
In questa situazione di emergenza sanitaria la mia preoccupazione si concentra sulle tante situazioni di sofferenza in cui i minori non hanno e non possono ricevere aiuto. I servizi sociali si sono sempre attivati in tutti i casi dove ciò sia stato possibile.
Sono state segnalate anche difficoltà per i minori all’interno della comunità, oltre che a criticità per i minori in collocamento protetto nell’ambito di programmi per il recupero della genitorialità.
Anche in questi casi i servizi sociali si sono attivati offrendo la possibilità ai genitori, attraverso il telefono e altri strumenti telematici, di tenersi in contatto e di ricevere i messaggi, con l’obbiettivo di non interrompere contatti o relazioni in corso con i bambini e famiglie esposte a condizioni di particolari vulnerabilità.
Mancanza di risorse, più volte segnalate anche prima dell’emergenza sanitaria, hanno continuato a pesare in modo evidente su un sistema a cui servono riforme intelligenti per un cambio di rotta, destinate a ripristinare quell’alleanza virtuosa tra giustizia, servizi sociali e famiglie in difficoltà. Scontiamo anni di mancati investimenti e tecnologie arretrate.
In uno scenario del genere, ritengo necessario, anzi fondamentale, che sia garantito a tutti i cittadini il diritto alla salute, e nello stesso tempo che i servizi offerti rispettino il principio di equità. Sono convinta che la sanità e la prevenzione non siano una spesa, ma un investimento.
C’eravamo illusi che si potessero tagliare sconsideratamente i posti letto negli ospedali, e questi sono i risultati.
Ben prima di questa crisi, i governanti dovevano sapere che l’epidemiologia è una scienza vera, da non trascurare, che avrebbe saputo indicare quanto investire in geriatria, quanto in pediatria, quanto in disabilità, nell’emarginazione sociale, nella famiglia, nel terzo settore. A pagare le conseguenze maggiori sono i più deboli, i più indifesi, i più poveri.
La Legge 833 del 1978 mirava a de-ospedalizzare e a rafforzare la sanità nel territorio puntando sulla prevenzione con più medici di base, con più strutture idonee a soddisfare i bisogni del territorio (dipartimento di prevenzione, distretti sanitari, ospedali di comunità, infermieri, assistenti sociali).
Invece si è avuto fretta di costruire nuovi ospedali d’eccellenza, senza pensare di mandare nelle case dei malati il personale sanitario adatto, trascurando così i bisogni del territorio.
La verità è che stiamo rassegnandoci quasi all’abbandono delle persone più fragili.
A mio avviso il servizio sociale dovrebbe essere valorizzato di più nella sanità del territorio. Esso dovrebbe essere un osservatorio indispensabile in grado di accogliere tutte le istanze d’aiuto, anche economiche della comunità.
Pandemia e ambiente
Il 22 aprile si è celebrata la Giornata Mondiale della Terra (madre terra). Abbiamo inquinato, depredato la terra mettendone così a nudo la fragilità. Ambiente e salute sono tra loro fortemente correlati e l’Italia è fortemente esposta ad alcune fragilità proprio sotto questo profilo.
La crisi ambientale è la dimostrazione del fallimento che viviamo.
In gioco c’è il futuro del “pianeta azzurro”, casa di “ogni essere vivente e non solo dell’uomo”, la cui arrogante ambizione ha rovinato questa casa per motivi di interesse dimenticando la giustizia, l’amore vicendevole, l’aiuto verso i più poveri e sfortunati, il rispetto reciproco.
Finora abbiamo inquinato e degradato la terra, ora serve risvegliare le coscienze e una conversione ecologica che si esprima in azioni concrete.
Alcuni studi scientifici hanno dimostrato che la pandemia è strettamente correlata all’inquinamento e allo smog, in quanto diminuiscono le difese immunitarie dell’organismo e alterano le funzionalità del polmone.
Al termine del viaggio nell’oscurità di questa pandemia, nulla dovrà essere come prima, perché sarà il momento di ripartire per una rivoluzione del nostro intero sistema e la transizione ecologica sarà il cuore e il cervello di questa rinascita.
Il “mondo malato” spende duemila miliardi in “armamenti”
Duemila miliardi di dollari per uccidere, ma per curare i malati da coronavirus, terapie intensive e dispositivi sanitari sono insufficienti, fino ad arrivare alle scelte drammatiche su quali malati vale la pena salvare. In piena pandemia di Covid-19 ci scopriamo armati fino ai denti, ma senza strumenti necessari per la difesa contro un nemico reale (coronavirus) che sta facendo stragi. Mi auguro che questa pandemia possa far riflettere i potenti della terra destinando più soldi alla sanità e alla povertà, meno alle armi.
Le armi uccidono, invece la sanità, la prevenzione, la ricerca, salvano la vita.
Conclusione
Al termine di questa pandemia non ci sarà subito un ritorno alla normalità, allo stile di vita che avevamo prima. Non sarà più come prima, per i lutti che ci sono stati, per la grave crisi economica che ci attende, per le conseguenze del necessario distanziamento sociale, per la paura del contagio, per le limitazioni al movimento. Comunque in questo periodo, pur nelle limitazioni e nei disagi, abbiamo sperimentato che anche lo stile di vita sobrio ed essenziale può essere bello e creativo.
Ci siamo stupiti e commossi di quanta abnegazione e vicinanza ai malati ha saputo mostrare il personale sanitario, chiamato a operare a rischio della propria vita. Abbiamo riscoperto la ricchezza dello stare insieme in famiglia, abbiamo potuto ammirare la bellezza della natura, quella che sta sempre accanto a noi e che prima non osservavamo, e gustare il silenzio che ci consente di riflettere.
Da questa crisi siamo invitati alla speranza e a ripartire dalla famiglia, da una società capace di condivisione e solidarietà e da una economia umana e sostenibile che possa garantire a tutti, soprattutto ai più deboli e fragili, attenzione, sicurezza, giustizia e dignità.
Valentina Campesato assistente sociale Servizio Età Evolutiva dell’Azienda ULSS 6 Euganea (Padova) Distretto n. 4.
Il silenzio della sala d’attesa…..difficile da sopportare
C’era una volta, ma non molto tempo fa, una sala d’attesa dove genitori e bambini arrivavano e attendevano il loro appuntamento. Si sentivano grida, chiacchericci e talvolta qualche rimprovero da parte degli adulti. I bambini altre volte si divertivano a fare le gare campestri in corridoio…..
…. Da circa un mese…tutto ciò è sparito improvvisamente e di punto in bianco il silenzio…un silenzio dal rumore insopportabile, un silenzio tetro…il vuoto.
Sono stata catapultata di punto in bianco in un mondo asettico privo di persone, privo di relazioni con le persone. L’unica via di comunicazione improvvisamente è stata il telefono e il PC, senza comunque contare che vi sono ancora famiglie fragili per cui l’utilizzo della tecnologia è un optional.
Mi ritrovo sola a condividere le quattro mura silenziose di quest’ufficio, in cui l’unico “rumore” talvolta è lo squillo del telefono.
Tutta la quotidianità lavorativa si è improvvisamente ridimensionata: abituata a rispondere al telefono e contemporaneamente a scrivere mail….ora mi sento come “bloccata”.
Questo blocco però mi fa riflettere molto sul mio operato e su come nella “normalità” siamo abituati a lavorare in modo frenetico e non riusciamo a concludere tutto alla fine della giornata.
Ora invece, mi ritrovo qui, a dare il mio piccolo contributo, che ho scritto di getto, pensando a questo periodo in cui tutto si è fermato.
Infine il mio pensiero va inevitabilmente a tutte quelle famiglie in cui i figli affetti da disabilità in questo periodo sono a casa da scuola, e la gestione quotidiana si complica all’ennesima potenza. .. I genitori lavorano o cercano di lavorare per “salvarsi” da una gestione difficile in cui i pensieri e le preoccupazioni si moltiplicano perché i bambini sono a casa tutto il giorno…cercando in tutti i modi di coinvolgere, quando hanno la fortuna di averle, le reti familiari…
Assistente Sociale Dott.ssa Valentina Campesato Servizio Età Evolutiva Azienda Ulss 6
Rientro a casa
Le stelline di cartone appese alla ringhiera che delimita la scuola primaria ondeggiano appena, sospinte dal leggero venticello. Al di là di questa ghirlanda un po’ consunta, si vede il cortile ricoperto di ghiaino, vuoto: i bambini sono a casa.
Trenta, forse quaranta, passi più in là un giovane albero dalla magnifica fioritura cattura il mio sguardo. “Magnolia rosa” penso, osservando quei meravigliosi calici illuminati dal sole. Non sono sicura che sia proprio quel tipo di pianta: non me ne intendo. Ma prendo quell’immagine come un dono di questo strano rientro a casa. Un dono della natura, che – rifletto – continua imperterrita i suoi ritmi anche se i nostri sono cambiati.
Sto tornando a casa dal lavoro, a piedi. Mi concedo il lusso della passeggiata, visto che non bisogna portare o andare a prendere a scuola le ragazze, né ci sono visite domiciliari o incontri fuori sede da effettuare. Il lavoro è cambiato, come quasi tutto, negli ultimi giorni…
Svolto a destra sbucando sul marciapiede di un viale più grande. Due signore con la mascherina passeggiano affiancate, chiacchierando. Mi vedono e rallentano il passo. Io accelero il mio. Normalmente, ci saremmo avvicinate senza problemi, ciascuna impegnata nel suo incedere verso la propria meta. Ora no: c’è la distanza di sicurezza da rispettare.
Più in là, nei pressi della rotatoria, incrocio un ragazzo che porta a spasso il suo cane. Andiamo in direzioni opposte, il marciapiedi è strettino, il metro ad un certo punto è difficile da rispettare, ma ci schiviamo il più possibile. Non c’è forse paura, ma c’è una distanza nuova che leggo nei gesti e nello sguardo tra l’indifferente e lo sfuggente, che non scansano tanto la mia sagoma quanto la cordialità del mio sorriso. Una distanza che temo rimarrà anche nei giorni del “dopo”, nel futuro di tutti.
Un signore, seduto su una poltroncina, vedetta confinata ai due metri quadri abbondanti del suo terrazzino, guarda il piccolo panorama di case e palazzi che la sua postazione gli permette di vedere. Osserva i passanti, quasi li controlla. “Sei autorizzato ad essere in giro?” pare chiedere a ciascuna delle solitarie figure che galleggia nel vuoto delle strade per lo più disabitate. Ho in mano l’agenda, sulla quale cade anche il suo occhio attento. “Sei andata al lavoro” pare dirmi.
Sì, sono andata al lavoro stamattina. E, come in ogni rientro a casa, gli echi del mio lavoro mi fanno compagnia, mescolandosi ai pensieri proiettati verso il resto della mia vita, verso i miei affetti e il mio privato. Ma questo rientro è insolito, perché sono a piedi e non in auto come la maggior parte delle volte, perché il lavoro di oggi è stato svolto con modalità e priorità nuove, perché siamo in emergenza.
Una signora scrolla lo straccio della polvere fuori dalla finestra di casa sua. Ci guardiamo per un secondo. Mi sembra così distante, lei immersa nel suo tram tram casalingo, io in questo trattino di congiunzione lavoro-casa.
Due cortili più in là una vecchietta passeggia, lenta, nel sole tiepido di questa primavera in arrivo. Accanto a lei, una donna statuaria vigila quell’uscita, utile ad entrambe – anziana e badante – ad ossigenare corpo e pensieri.
Procedo per la mia strada, cercando anch’io di ossigenare corpo e pensieri. E mi chiedo che cosa so io in più o di diverso da queste persone che ho appena casualmente visto. Cosa so, in più di loro o di diverso da loro, o in più o di diverso da quelli che oggi sono rimasti a rispettare quel #iorestoacasa che il mio lavoro non mi permette di considerare, almeno per le ore di servizio? Cosa so in più di loro, di diverso da loro, io che lavoro come assistente sociale da più di venti anni e che anche oggi ho fatto l’assistente sociale, che anche oggi sono assistente sociale?
“Nulla” penso, perché in me prevale sempre l’atteggiamento socratico del nulla sapere. “Non so nulla, esattamente come tutti quanti, in questo caos e in questo tempo sospeso, in cui si attende una notizia, la notizia, quella buona, quella bella, quella miracolosa, ma in cui le informazioni si susseguono lasciandoci tutti frastornati ed ancora in una strana apnea collettiva, in cui abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto e siamo ancora un po’ increduli, un po’ scioccati, presi dall’incalzare di eventi che sfuggono al controllo, nostro e di tutti.
Ma intanto lo sguardo si posa ancora qua e là ed in automatico affiorano quei “so” che mi accompagnano sempre, ma che raramente considero importanti nella vita quotidiana.
So che le grida che provengono da quell’appartamento al terzo piano, nel palazzo marroncino anni ‘70, non sono di due coinquilini un po’ isterici per le restrizioni imposte: i toni, le parole, la tensione palpabile anche da lontano mi raccontano di una frattura profonda, vecchia ma ancora aperta, come le finestre dimenticate spalancate ed incapaci di proteggere dagli orecchi altrui. Mi vedo la scena, al di là delle parole che sento, collego quelle urla a tante storie, raccolte nel mio ufficio, in ospedale, in qualche angolo riservato di una struttura di accoglienza, tra le mie mani, tra i miei pensieri, tra i miei strumenti di lavoro, tra i tanti, a volte contorti, percorsi dell’aiuto.
So che in una casa quasi uguale a quella di cui sto costeggiando il giardino, in un altro quartiere di questa stessa città, una donna sta arrivando al limite della sopportazione e che la chiusura – inevitabile – di servizi o di opportunità ha caricato di assistenza e fatiche molte persone come lei, in questi lunghi giorni già capaci di mettere alla prova anche le esistenze più serene. Non sono supposizioni o teorie, perché di alcune di queste persone che viaggiano in riserva di carburante con la quarta innestata e le ruote logore, io ho presente i visi e le voci, e i racconti, e gli sfoghi, e le richieste di aiuto…
So che qualcuno non ha di che mangiare, neanche un centesimo in casa, anche a voler affrontare la paura degli atti fino a ieri scontati e necessari per fare una semplice spesa: uscire di casa, entrare in un negozio, scegliere la merce calcolatrice alla mano, passare per le casse, portare a casa la garanzia della sopravvivenza. Piove sempre sul bagnato: soggetto fragile e pure senza un soldo… Non è mica semplice stare tranquilli e farsela passare, così. E il problema è la fame e il rischio di vita, non la rinuncia alle attività ludiche o mondane.
So che in questa come in tutte le emergenze si parlerà, tanto, di numeri e che io, il mio vicino di casa, la mia città e tanti gruppi e sottogruppi umani diventeranno numeri, persone e volti scomparsi dietro la maschera di una cifra. Capisco che è inevitabile, che quando il soggetto da tutelare è una intera popolazione, non si possa chiamare ciascuno per nome o per cognome. Ma so che non lo accetto veramente, perché per mia natura e probabilmente per una specie di ottica professionale, non riesco a scordare la necessità di riconoscere le persone dietro i numeri. Le persone e le loro differenze, il loro dolore, le loro specifiche grandi o piccole risorse.
Forse è anche pensando alle centinaia di volti e alle centinaia di storie che stanno dietro il numero 100, o al 1000, o al 100.000, che guardo con una punta di rifiuto i cartelloni appesi ai cancelli e alle finestre. “Andrà tutto bene” recitano e uniscono il quartiere in un unico arcobaleno. È un messaggio di speranza, di positività, di vicinanza, di forza. È stato passato ai bambini. Fa bene ai bambini. Fa bene anche a noi: bisogna staccarci dalla negatività e pensare positivo. Ma io ho la percezione di qualcosa di incompiuto in quello slogan, ho l’istinto di aggiungerci un però, o un ma, o un anche se. Perché, diciamocela tutta, alla fine per molti, per i più, andrà veramente tutto bene, ma moriranno delle persone e altre staranno male e soffriranno e pensando a quei singoli individui – che non sono più il numero x della popolazione y, ma un padre, una madre, un fratello, una sorella, un figlio, una persona qualsiasi ma una persona – non posso fare a meno di fare a quello slogan una piccola aggiunta, almeno col pensiero. “Alla fine andrà tutto bene. L’umanità ha affrontato tanti pericoli, tante battaglie anche ben peggiori, ed affronterà e supererà anche questa. Ma, nel dopo che tutti attendiamo, qualcuno mancherà all’appello, qualcun altro sarà molto cambiato, il mondo sarà poco o tanto cambiato.” E speriamo che nel dopo-dopo tutta questa esperienza non venga dimenticata: bisognerebbe imparare a far tesoro delle esperienze, trasformarle in patrimonio dell’umanità e non dell’oblio…
La sede di lavoro è ormai più lontana da me di casa mia. Proseguo, coi passi e con i pensieri. Cos’altro so?
So che non sono un’eroina e che il mio andare al lavoro non può essere paragonato a quello di chi – medico, infermiere, operatore sanitario – è impegnato in prima linea e a rischio più di tutti. So che la mia professione non può avere in sé l’essenzialità della produzione del cibo e della garanzia dei bisogni “base”. Però so che quel mio lavoro si colloca in un punto particolare: quella zona in cui si provvede al concreto e ci si occupa anche dell’impalpabile, passando per la ricerca di pacco viveri o di un pasto, per la garanzia dell’assistenza domiciliare o di un tetto sulla testa, ma anche per l’ascolto e il sostegno e per la ricerca di un benessere che permetta “vita” anche ai meno attrezzati ad affrontarla.
So che una parte di me non ci vorrebbe andare, al lavoro, in questi giorni, perché è la paura a parlare anche in me. Ma sono consapevole che riconosco la mia paura perché sono abituata a chiedermi ciò che provo e a ragionarci in mille momenti professionali.
E di paura ne ho provata, negli anni lavorati, anche per la mia incolumità. Questa volta è una paura diversa, però, contagiosa come il virus che l’ha scatenata, diffusa come le notizie, variegata come le opinioni che si moltiplicano, atavica come l’istinto di sopravvivenza. Non è la minaccia alla mia sola persona, il rischio di aggressione fisica o verbale con cui tutti noi colleghi abbiamo tante volte fatto i conti. E non posso neanche pensare “se la prenda con me, lasci stare la mia famiglia”, perché qui è un po’ il contrario: se nell’esercizio delle mie funzioni il sig. virus se la prende con me, beh, me lo porto a casa, eccome… E, a casa, c’è la mia famiglia, cui racconto poco del lavoro, ma che ha alcune immagini di me professionista; una è quella che dice che gli uffici in cui lavoro sono un porto di mare, un crocevia in cui si ritrovano le persone più diverse, ciascuna col il suo bagaglio di difficoltà.
È vero: si poteva dire che il mondo entrava nel mio ufficio, fino a poco fa. Mi piaceva pensare che era anche quello un viaggio: stavo ferma dietro la scrivania ma rappresentanti di mezzo mondo, o di tanti mondi diversi per meglio dire, mi raggiungevano, carichi di bisogni e richieste, sofferenze e problemi, ma anche della loro diversità. Oggi no: le porte sono chiuse, si riceve solo su appuntamento, bisogna contingentare, abbassare il rischio, per noi operatori e per i cittadini. Oggi, i tanti mondi si chiudono nelle loro case, ammesso e non concesso che una casa ce l’abbiano tutti, e rimangono fuori dal mio ufficio, collegati a noi dal cordone ombelicale della necessità: servizi, sostegni, indicazioni, dei punti di riferimento, un contatto. Le modalità sono cambiate, anche un po’ il concetto di urgenza, ma in fondo in fondo mi pare di vedere emergere più che mai le priorità, quelle vere, quelle essenziali, quelle irrinunciabili per la persona umana.
E allora, tutti i mondi diversi diventano un unico mondo, fatto dei bisogni essenziali dell’essere umano e delle fragilità dell’essere umano.
Questo virus, che ci mette tutti a rischio, senza distinzioni di razza o ceto sociale, ci riporta a questi concetti di universalismo. Ma ci allontana anche… chiusi nel nostro isolamento, concentrati ciascuno sulla sua piccola grande battaglia.
Mi viene in mente un’altra cosa che so anche grazie alle persone che ho incontrato nel mio lavoro: la vita umana non ha lo stesso valore a tutte le latitudini o in tutte le situazioni. Io vorrei che lo avesse, ma non è così.
Mentre mi accingo a cercare le chiavi di casa, penso che forse la badante della vecchietta che ho visto passeggiare in giardino le sa meglio di me, queste cose: le sa sulla sua pelle… E che probabilmente quella vecchietta conosce più di me le restrizioni e le paure, perché ha vissuto la guerra, la sua fame e le sue paure, i suoi lutti e i suoi coprifuochi, le sue rinunce e i suoi piccoli sprazzi di speranza. E che magari la signora che ha scrollato lo straccio pieno di polvere sta facendo considerazioni analoghe alle mie, mentre pulisce casa …
Che storia ho da raccontare oggi? Tante storie e nessuna, oppure una unica, ma quella verrà scritta dopo e parlerà di tutto questo col senno di poi e con la chiarezza di fatti già accaduti, non solo ipotizzati.
Rientro in casa con un po’ di timore: di tutta la mia famiglia, sono l’unica che ha avuto contatti con l’esterno e mi sento il peso della responsabilità. Parlerò solo da lontano o per telefono con mia suocera o i miei genitori: preferisco la prudenza… Entro in casa però anche pensando alla professione che ho scelto e che mi accompagna sempre, nella lettura degli eventi come della vita, con quel bagaglio di conoscenze, apprese dalle vite degli altri oltre che dalla formazione e capaci di trasformare un “altro” completamente astratto e teorico in una persona reale, concreta, vera.
Elena Garrione
Caro Ordine, cari Colleghi,
Vi scrivo per condividere con voi ciò che sta accadendo a me (come a tanti altri) in questo momento, ma soprattutto per una necessaria esigenza di mettere nero su bianco pensieri e parole che vagano confusi nella mente di tutti i giorni. Parole sparse che chiedono di essere scritte perché esse hanno il potere di nominare, creare, trasformare. Mi sto concedendo questo momento in una domenica mattina di fine marzo, ad un mese dall’inizio dei primi contagi da Coronavirus in Italia.
Sono una giovane assistente sociale all’interno di una struttura residenziale per non autosufficienti nella provincia di Venezia, da circa un anno, periodo nel quale mi sono dovuta necessariamente confrontare, tra le altre cose, con la delicatezza del fine vita dei miei utenti.
Ciò che sta accadendo ora però va ben oltre; mi sto inevitabilmente scontrando con una realtà che unisce il fine vita con la solitudine e la paura, con una professione spoglia degli strumenti che utilizziamo ogni giorno, con un isolamento forzato che ci fa sentire distanti e con una quotidianità nella quale si naviga a vista sperando vada tutto per il meglio.
I cambiamenti iniziarono a fine febbraio, quando arrivarono le prime disposizioni per le strutture residenziali del mio territorio colpito dai contagi, a seguito delle quali venne stabilita la chiusura totale della struttura ai visitatori. Iniziarono poi ad arrivare nuove comunicazioni contenenti disposizioni operative, norme per utilizzo dei DPI, avvisi di chiusura degli uffici con cui si collabora nel territorio… le strade a mano a mano si svuotarono e il mondo diventò più silenzioso. Iniziammo a lavorare tutti chiusi in una bolla, in una situazione surreale. Non tutti i familiari compresero (o non vollero comprendere, per gestire meglio la propria paura) la decisione della chiusura della struttura a persona esterne, l’informazione venne assorbita in modo progressivo nel corso delle prime settimane. Alcuni di loro infatti continuarono a recarsi in struttura per consegnare giornali, lettere, cioccolatini, biscotti senza zucchero (“I suoi preferiti!” mi ricorda la figlia di un ospite) da consegnare al proprio caro; per fa capire alla propria mamma, zio, amica, marito, che loro c’erano ancora lì fuori e non li stavano abbandonando. Nell’istante di consegna del malloppo alla soglia dell’ingresso, auspicavano di incrociare con gli occhi, attraverso la vetrata principale, quelli del proprio familiare per un saluto con la mano e un bacio mandato da lontano. E la speranza tra gli sguardi di potersi riabbracciare ancora, più avanti.
Ogni giorno, mi incontro con gli occhi vuoti e spaesati dei miei utenti, già fragili di per sé, con problematiche cognitive che rendono difficile (se non impossibile) spiegare loro cosa stia succedendo. Mi interrogano tutti i giorni, mi chiedono come mai non sia possibile ricevere visite, dove sia il fratello, perché sono stati abbandonati, cosa stia succedendo lì fuori. Alcuni credono che il motivo di quell’assenza sia l’improvviso decesso della persona cara che attendono da settimane per una visita. Il loro spaesamento è tangibile, è sofferenza che arriva dritta e senza filtri a noi operatori.
Incontro tutti i giorni gli occhi, un po’ tremanti, dei miei colleghi. Parlo di “occhi” perché il resto del volto è coperto dalle mascherine; rimango ancora sorpresa da quanto i nostri occhi possano parlare senza utilizzare la voce. Occhi spaventati dalla diffusione del contagio nella struttura, dove i nostri anziani dovrebbero poter vivere protetti. Occhi che temono di essere veicolo di trasmissione inconsapevole. Occhi che nonostante tutto continuano ad essere presenti, pronti a sorridere a chi ha più paura di loro.
Il telefono in queste settimane squilla più del solito, i familiari desiderano scambiare qualche parola con il proprio caro. Sento attraverso la cornetta voci di persone preoccupate, affrante, sofferenti, che prima ancora di accertarsi che l’ospite stia bene, ti domandano gentilmente: “Ma lei, dottoressa, come sta? Come state lì dentro?”. Poi ci sono anche altre chiamate, quelle che comunicano di sospetti casi positivi entrati in contatto con gli utenti o venuti a colloquio nel mio ufficio qualche settimana prima (e la mente inizia a pensare “Ma gli ho stretto la mano? Le ho lavate bene poi? Era abbastanza lontano? Forse in quell’occasione ha anche tossito? Ma io sto bene?”). E infine infermieri e medici in allerta ad ogni sintomo riconducibile all’infezione per poter intervenire tempestivamente, richieste di tamponi per il virus, attese che sembrano infinite per la risposta, stanze per l’isolamento, protezioni che non sono mai sufficienti, paure.
Lavorare come assistente sociale è lavorare nella complessità, ce l’hanno insegnato e lo abbiamo testato nella concretezza di ogni giorno. Mai come adesso ogni professionista si trova di fronte alla necessità pregnante di saper stare e saper esserci, in questa complessità, che ci spinge a creare nuovi strumenti, nuovi linguaggi e nuove parole per descriverla.
Come stiamo allora noi professionisti in questo momento così delicato?
Forse non sappiamo ancora spiegarlo, non abbiamo finora trovato sufficienti e adeguate parole per raccontarlo; ma ciò che sappiamo è che ci siamo.
Ci siamo per offrire tutto ciò che un assistente sociale è in grado di dare agli altri, stando accanto alle persone che ne hanno bisogno, camminando assieme in questo fragile percorso, ascoltando, sorridendo, pensando a nuove soluzioni, condividendo nuove pratiche, nuotando insieme in questa spiazzante complessità.
Auguro a tutti noi un sereno futuro. Un caro saluto a tutti,
Deborah Facchin
Covid-19 Avvolti dalla morte nel bel mezzo della vita
Il cap. 2 versetto 7 della Genesi ci dice: “allora il Signore plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. Il racconto ci informa che l’uomo viene plasmato con elementi naturali, ossia la polvere del suolo; ne deriva che gli esseri umani, provengono dal di dentro della terra, non sono al di sopra della natura. Ciò che rende l’uomo però un essere vivente, ci dice il libro della Genesi, è l’alito di vita che il Signore soffia nelle sue narici. Attraverso l’alito l’uomo partecipa dell’essere di Dio, condivide la sua vita. L’alito che viene soffiato, l’ebraico usa il termine nefeš, è un principio creatore dal quale scaturisce la vita. La vita comincia sempre inspirando: i bimbi, appena nati, vengono sculacciati affinché i loro polmoni si riempiano d’aria. L’azione del respirare rende possibile e conserva la vita, la trasmette e l’attualizza in tutte le sue espressioni. Gli stati emozionali sono spesso associati ad una modifica del ritmo respiratorio: avere il fiato corto per la paura di un qualcosa che sopraggiunge improvviso, per una fatica…. La vita comincia quindi inspirando e termina espirando. Alla fine si spira, si esala l’ultimo respiro, riconsegnandolo, secondo il racconto della Genesi, a colui che ha alitato un soffio nelle narici dell’uomo. Tra il primo e l’ultimo respiro si gioca tutta la nostra esistenza. Nel bel mezzo della nostra vita, precisamente gli ultimi mesi del 2019 e i primi del 2020 un virus, detto Covid -19, invisibile ed impercettibile sta tentando di toglierci il respiro, anzitempo. Rischiamo quindi di essere precocemente, come diceva Lutero: “avvolti dalla morte nel bel mezzo della vita”. Questo virus non risparmia nessuno, ciascuno di noi potrebbe essere avvolto dalla morte nel bel mezzo della vita, che improvvisa sopraggiunge paralizzandoci i polmoni e facendoci esalare l’ultimo respiro. Riflettiamo poco su questa funzione basilare. Il respiro rende possibile la vita. Questa sosta forzata nelle nostre case potrebbe essere l’occasione per renderci consapevoli che il respiro rende il nostro essere “vivente” e smetteremo, forse, superata la pandemia, di vivere in apnea le relazioni, il lavoro, l’ordinarietà, la straordinarietà. Il respiro in fondo è l’unica cosa che ci accomuna, respiriamo tutti la stessa aria e se ci viene a mancare a causa del Covid-19 oggi, dei virus dell’indifferenza, dell’ipocrisia, del tornaconto domani, la morte avvolgerà nel bel mezzo della vita la nostra salute, la nostra economia, la nostra socialità. Questa esperienza dolorosa ci aiuterà, forse, a distinguere meglio tra ciò che è importante e ciò che è futile. A capire che il respiro è la nostra risorsa più preziosa.
Nicola Martinelli
Circolare 16/03/20
Cari colleghi,
questa nuova nota segue quella dello scorso 6 marzo. La situazione di emergenza che stiamo vivendo è del tutto nuova ed imprevedibile, e ogni Assistente Sociale si trova in un doppio ruolo: potenziale vittima e soccorritore allo stesso tempo.
Nelle precedenti esperienze di maxi emergenze in Italia, l’intervento del servizio sociale professionale è stato richiesto e attivato solo in seguito alla fase di soccorso sanitario urgente e alle attività di search & rescue (messa in sicurezza e salvataggio delle persone), fasi che, normalmente, si concludono dopo le prime 72 ore dall’evento calamitoso.
L’attuale epidemia da COVID19, invece, presenta uno scenario inedito e complesso – anche dal punto di vista degli interventi di Servizio Sociale – che fino ad oggi nessuna istituzione, né pubblica né del Terzo Settore, ha mai affrontato né forse contemplato. Con riferimento alle molte richieste pervenute all’Ordine, a livello sia nazionale sia regionale, da parte di iscritti e servizi, è utile indicare alcuni orientamenti per l’azione professionale, consapevoli che i continui cambiamenti potranno richiedere di modificare le nostre indicazioni.
In primo luogo, secondo gli ultimi atti del Governo, sono garantiti i servizi indifferibili ed essenziali.
Consapevoli della competenza delle Regioni nell’organizzazione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali, il Servizio Sociale Professionale è uno dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, così come definiti dalla norma statale. Ciò premesso, ogni assistente sociale verifica gli atti regionali che disciplinano la rete dei servizi territoriali nella fase di emergenza in atto e opera per assicurare l’accesso di tutte le persone aventi diritto alle risorse più appropriate.
Va ribadito, quindi, che tutti gli interventi di prevenzione e di tutela del rischio concreto e reale per la sicurezza delle persone, nell’ambito delle norme vigenti, devono essere garantiti.
L’Assistente Sociale deve sollecitare e promuovere, nell’ambito della propria organizzazione, protocolli specifici per garantire continuità e sicurezza del percorso di aiuto e segnalare ai propri responsabili le situazioni di rischio concreto e urgente per le persone seguite.
Tutte le attività professionali urgenti e indifferibili nell’ambito dei servizi essenziali vanno garantite alle persone. Il ruolo dell’assistente sociale a supporto dei singoli e delle famiglie che, a causa dell’emergenza che stiamo vivendo, si trovino in situazioni di vulnerabilità, è essenziale.
Il ruolo dell’Assistente sociale in ogni ambito (sociale, sanitario o socio-sanitario), indipendentemente dalla tipologia contrattuale o organizzativa (pubblica o di Terzo Settore), ed in qualsiasi ruolo (anche dirigenziale e di coordinamento), è cruciale in questa fase di crisi e, pertanto, non possono essere interrotti i necessari interventi di monitoraggio (anche da remoto), né la collaborazione con tutti i professionisti della salute.
Quindi, relativamente ai contatti con le persone, sono da considerare essenzialmente tre fattispecie:
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- situazioni note e non urgenti;
- situazioni note e che possono assumere carattere di urgenza in considerazione delle conseguenze dell’epidemia;
- situazioni non note che possono assumere carattere di urgenza in considerazione delle conseguenze dell’epidemia.
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Ferma restando l’autonomia organizzativa degli Enti, pubblici e di terzo settore, per la realizzazione di strumenti valutativi e considerata l’autonomia tecnico professionale di ogni assistente sociale, suggeriamo di considerare alcuni elementi utili alla definizione di urgenza:
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- Rischio concreto e imminente di incolumità o di danno alla salute della persona;
- Presenza o meno di un luogo fisico di domicilio o residenza;
- Presenza di reti di supporto autorizzate ad intervenire;
- Richiesta di intervento o collaborazione dell’autorità giudiziaria;
- Presenza del rischio di reati o di violazioni di legge;
- Presenza o meno di risorse istituzionali o informali attivabili direttamente dalla persona;
- Impossibilità di accedere a interventi o servizi precedentemente attivi e sospesi a causa delle conseguenze dell’epidemia.
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Se non si riscontra urgenza o quando l’obiettivo dell’intervento è la verifica dell’andamento di situazioni conosciute non a rischio, possono essere utilizzati strumenti da remoto come il contatto telefonico o la videochiamata, previa disponibilità e consenso delle persone coinvolte. Queste modalità di relazione, seppur diverse dalla prassi, possono consentire il duplice obiettivo di monitorare la situazione di persone fragili evitando, contemporaneamente, il rischio di reciproci contagi. In tali situazioni, l’effettuazione di visite domiciliari può essere evitata.
Il colloquio in presenza può non essere svolto se non sono garantite le regole di sicurezza imposte dalla normativa vigente in tema di distanza minima di sicurezza e protezione individuale.
In queste situazioni l’assistente sociale deve rendere una segnalazione in forma scritta al proprio Ente ed ai Responsabili per la Sicurezza, la Prevenzione e la Protezione (RSPP), evidenziando gli elementi di rischio per la propria salute e della persona in situazione di necessità o rischio.
Anche assumendo il Codice deontologico della professione come orientamento per i comportamenti professionali, tutte le attività urgenti e indifferibili vanno garantite alle persone: sottolineiamo che è importante, tutte le volte in cui è possibile, una valutazione di priorità condivisa nelle équipe mono e multi-professionali.
A seguito del DPCM 4 marzo 2020 all’art.1 comma 1 lettera a) e ss.mm. le riunioni non sono consentite e vanno pertanto svolte in modalità telematica o a distanza. Nell’impossibilità di svolgerle in queste condizioni di sicurezza, è necessario utilizzare spazi ampi che possono essere areati, garantendo le distanze personali ed indossando i dispositivi di sicurezza idonei.
Cosi come i colloqui in presenza, anche le visite domiciliari e gli altri interventi esterni vanno garantiti in tutti i casi urgenti e indifferibili. A titolo di esempio indichiamo le richieste di aiuto da parte di persone non conosciute al professionista, rispetto alle quali emerga, in fase di primo contatto, una potenziale situazione di rischio che necessita di una valutazione domiciliare.
Anche in queste situazioni, la tutela della salute delle persone (professionista compreso) è prioritaria e pertanto devono essere osservate tutte le precauzioni, anche attraverso l’utilizzo dei Dispostivi di Protezione Individuale (DPI), che devono essere messi a disposizione dalle organizzazioni di lavoro. Laddove non siano disponibili gli idonei DPI, l’assistente sociale deve segnalarlo in forma scritta al proprio Ente ed ai RSPP.
Una particolare attenzione deve essere rivolta alle situazioni di grave marginalità sociale e alle persone senza dimora. Abbiamo, come professionisti, il compito di segnalarle alle nostre istituzioni e proporre azioni per ridurre i rischi di contagio e stigma.
Come indicato dalle Associazioni internazionali1 gli assistenti sociali hanno un ruolo importante nella lotta contro la diffusione del virus nella comunità e nel supporto a chi ne è colpito.
Ciò richiede un lavoro a più livelli: nell’assunzione delle decisioni insieme agli altri professionisti, nel coinvolgimento della comunità nella pianificazione, nella predisposizione di protocolli di sicurezza, ma anche nel supporto psico-sociale alle persone, con l’obiettivo di orientarle nella situazione di crisi, di ridurre l’isolamento sociale, di stimolare la capacità di far fronte in maniera positiva a questo evento traumatico, riorganizzando positivamente la propria vita pur nella difficoltà.
Abbiamo un ruolo chiave nella diffusione di informazioni adeguate (anche nell’utilizzo dei social network) e nel facilitare contesti in cui le persone possono agire in solidarietà. In molte comunità gli assistenti sociali stanno lavorando per:
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- assicurare che le persone più vulnerabili siano incluse nella pianificazione degli interventi e nell’allocazione delle risposte;
- contribuire ad organizzare le comunità per garantire che gli interventi essenziali siano disponibili;
- partecipare alle valutazioni affinché i membri della comunità siano il più preparati possibile alle conseguenze dell’epidemia e possano accedere agli interventi necessari con la massima appropriatezza;
- collaborare ad organizzare strategie per superare l’isolamento sociale delle persone afflitte dalle conseguenze dell’epidemia.
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Il confronto con questa emergenza deve spronarci tutti a cercare strade nuove e, paradossalmente, è l’occasione per far emergere la specificità del nostro contributo al benessere della società.
Sicuramente questa è un’emergenza sanitaria, ma sappiamo bene che la salute riguarda anche la sfera delle relazioni di ogni persona.
Sappiamo che la persona che oggi è ammalata e ricoverata deve ricevere cure mediche, ma le cronache ci raccontano di malati isolati in ospedale o a domicilio e familiari e persone care che non possono avere contatti con loro. Queste situazioni, evidentemente, ci riguardano.
È necessario intervenire e stare accanto a queste persone (quando sono a casa), ed ai loro familiari, avendo cura di proteggerli e di proteggerci dal contagio. L’invito, quindi, è di ricercare le migliori modalità di sostegno alle comunità coinvolte in questa emergenza, senza mettere a rischio le persone e noi professionisti, e ad avviare una raccolta sistematica di informazioni per cominciare a predisporre un piano di lavoro per il “dopo virus”.
L’impegno dell’Ordine è stato, è, e continuerà ad essere, di portare all’attenzione dei decisori politici le criticità di questo momento e le prospettive che, verosimilmente, il sistema di welfare dovrà affrontare in conseguenza dell’emergenza.
Siamo convinti che andrà tutto bene, ma siamo consapevoli che l’impatto sociale di questa emergenza chiamerà a uno sforzo importante tutto il servizio sociale professionale, tutti noi, nei prossimi mesi e nei prossimi anni per ricostruire le comunità e sostenerne la resilienza e l’importanza delle relazioni umane. #DistantiMaPiùViciniCheMai
Gianmario Gazzi
In allegato la circolare emessa il 16 marzo 2020
Padova, 27 marzo 2020
Padova, 27 marzo 2020 – In queste difficili settimane, l’informazione italiana è concentrata sulla pandemia da SARS-Cov2 e sui fronti connessi: medici e scientifici (al netto di bufale e notizie esagerate, che purtroppo si diffondono con facilità, ma per fortuna vengono anche prontamente smentite), come pure economici e sociali. Forse non è stata ancora data sufficiente attenzione al ruolo di presidio, di risposta all’emergenza, di servizio dei professionisti del servizio sociale, ma qualcosa è stato pubblicato. Con questa parziale rassegna stampa, l’Ordine degli Assistenti Sociali del Veneto vuole dare evidenza a quello che l’Ordine nazionale e quello veneto, ma soprattutto tanti assistenti sociali stanno facendo per il bene comune: inventando soluzioni alternative a quelle abituali, tappando falle, segnalando problemi e urgenze.
STAMPA E MEDIA ONLINE NAZIONALI
Il racconto della stampa è più ricco, paradossalmente, a livello locale. Molte azioni e iniziative del servizio sociale si giocano infatti sul territorio. Alcune importanti riflessioni e analisi sono state tuttavia riportate, grazie anche all’intervento del presidente nazionale dell’Ordine Gazzi. Qui di seguito qualche esempio, necessariamente parziale.
Nota: per agevolare l’individuazione degli articoli in .pdf, ogni file è stato contrassegnato da una lettera che viene riportata tra parentesi vicino alla data.
L’INTERVENTO DI GAZZI
Il presidente nazionale dell’Ordine Gian Mario Gazzi ha pubblicato un importante intervento su Avvenire.
Avvenire, 20.03.2020 (A)
Nelle retrovie del contagio (in allegato)
Cnoas.org, 20.03.2020
L’articolo è stato pubblicato anche sul sito dell’Ordine nazionale
https://cnoas.org/news/nelle-retrovie-del-coronavirus-il-presidente-su-avvenire/
IL SERVIZIO SOCIALE E L’EMERGENZA
Ma anche altre fonti hanno pubblicato interventi significativi sul ruolo degli assistenti sociali e su come l’emergenza offra spunti per ripensare le modalità del lavoro sociale .
Askanews, 23.03.2020
http://www.askanews.it/cronaca/2020/03/23/coronavirus-laltra-sanit%c3%a0-il-ruolo-degli-assistenti-sociali-pn_20200323_00377/
Ilfattoquotidiano.it, 22.03.2020
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/22/coronavirus-gli-assistenti-sociali-aspettano-regole-nazionali-i-piu-deboli-ora-sono-anche-piu-soli/5742632/
Unipd.it, 19.03.2020
https://www.labrief-unipd.it/2020/03/19/un-nuovo-smartwelfare-il-lavoro-con-le-famiglie-ai-tempi-del-coronavirus/
Il Sole-24Ore, 17.03.2020 (B)
La lezione del virus per il Ssn: dividere ospedali e territorio (in allegato)
IL TERRITORIO
A livello nazionale un tema che ha ricevuto grande attenzione è stato quello di anziani e persone in difficoltà. Un po’ ovunque, nei vari territori, gli assistenti sociali hanno dovuto supplire all’impossibilità di incontrare le persone in maggiore difficoltà e hanno puntato sull’ascolto via telefono, ma pure sulla collaborazione con le reti del volontariato. Ma anche altre questioni sono state portate all’attenzione del pubblico, nei vari territori: a partire dalla sicurezza di chi opera in nosocomi, case di riposo e carceri, tra cui, proprio, moltissimi assistenti sociali.
L’Eco di Bergamo, 12.03.2020 (C)
La spesa, i farmaci a casa e l’ascolto: aiuto da 50 volontari – Bergamo (in allegato)
Gazzetta di Reggio, 25.03.2020 (D)
“Vengano fatti tamponi agli operatori delle carceri” – Reggio Emilia (in allegato)
la Repubblica – Genova, 27.03.2020 (E)
Calo dell’assistenza a domicilio, molti anziani temono il contagio – Genova (in allegato)
La Gazzetta del Mezzogiorno (ed. Bari), 27.03.2020 (F)
Assistenti sociali, “Noi dimenticati”- Bari (in allegato)
STAMPA E MEDIA ONLINE DEL VENETO
A livello veneto qui di seguito sono segnalati alcuni articoli (link e pagine di giornale) che descrivono con sufficiente compiutezza i tanti fronti su cui sono impegnati i professionisti della nostra Regione. In particolare è da notare che il servizio sociale ha assunto in moltissimi comuni il ruolo di coordinare le diverse attività per assistere i cittadini (e in particolare le fasce deboli) su tantissimi fronti: dalla spesa a casa per gli anziani, al centro di ascolto telefonico, alla consegna di farmaci, fino all’aiuto (purtroppo spesso limitato dalla situazione di fatto) alle famiglie con disabili.
La copertura di stampa è sicuramente molto ricca e soprattutto attenta a fornire informazioni utili ai cittadini. Non sempre, tuttavia, viene adeguatamente rappresentato l’impegno di tanti professionisti del servizio sociale, così come possano restare “scoperte” dalla cronaca alcune emergenze e situazioni problematiche che richiedono l’attenzione delle istituzioni come dei media.
Nota: per agevolare l’individuazione degli articoli in .pdf, ogni file è stato contrassegnato da una lettera che viene riportata tra parentesi vicino alla data.
SERVIZIO SOCIALE
Rovigooggi.it, 20.03.2020
https://www.rovigooggi.it/n/97485/2020-03-20/un-aiuto-concreto-a-chi-vive-in-completa-emergenza
L’Arena, 26.03.2020 (A)
“Resta a casa, ti ascolto”. C’è il sostegno telefonico (in allegato)
Il Gazzettino, 28.03.2020 (B)
“Brugnaro: presto mascherine per tutti” (in allegato)
Il progetto Per Padova noi ci siamo
Difesapopolo.it, 16.03.2020
https://www.difesapopolo.it/Diocesi/Per-Padova-noi-ci-siamo-.-Diocesi-Comune-e-Csv-di-Padova-insieme-per-chi-e-piu-fragile
Vicenzapiu.com, 12.03.2020
https://www.vicenzapiu.com/leggi/vicenza-sicura-per-lemergenza-coronavirus-da-domani-attivo-il-numero-0444221020/
ANZIANI E DISABILI
Padovaoggi.it, 25.03.2020
https://www.padovaoggi.it/cronaca/partita-distribuzione-gratuita-mascherine-domicilio-persone-piu-anziane-padova-25-marzo-2020.html
Il Mattino di Padova, 25.03 (C)
Direttamente a casa per 3500 over 74 soli –Padova (in allegato)
Il Mattino di Padova, 25.03 (D)
Spese, pasti e farmaci a domicilio. I numeri utili – Piove di Sacco (in allegato)
La Tribuna di Treviso, 23.03.2020 (E)
Ansia case di riposo, incubo contagi latenti. “E niente mascherine” – Treviso (in allegato)
Il Giornale di Vicenza, 25.03.2020 (F)
Volontari al telefono per fare compagnia agli anziani soli – Bassano (in allegato)
Il Giornale di Vicenza, 25.03.2020 (G)
Farmaci e cibo a domicilio. Parte il servizio del Comune – Orgiano (in allegato)
Vicenzapiu.com, 19.03.2020
https://www.vicenzapiu.com/leggi/coronavirus-ipab-e-ipark-di-vicenza-mettono-in-contatto-virtuale-piu-di-650-anziani-e-familiari/
Trevisotoday.it, 19.03
http://www.trevisotoday.it/attualita/coronavirus-rete-sociale-aiuti-castelfranco-veneto-19-marzo-2020.html
L’Arena, 18.03 (H)
Medicine e spesa, ecco come fare (in allegato) – comuni del Garda
L’Arena, 14.03 (I)
Assistenti sociali e medicine a domicilio (in allegato) – Soave
Il Gazzettino – ed Rovigo, 11.03 (L)
Spesa a domicilio: Comuni e associazioni di volontariato mobilitati per gli anziani (in allegato)
DETENUTI
Ilfattoquotidiano.it, 23.02.2020
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/23/coronavirus-mattarella-risponde-alla-lettera-dei-detenuti-del-veneto-mi-ha-molto-colpito-impegno-per-garantire-dignita-nelle-carceri/5745866/
MINORI
Il Mattino di Padova, 15.03 (M)
Lontani ma vicinissimi, tre settimane “AcCattivanti” per bambini e ragazzi – Padova (in allegato)
VIOLENZA DOMESTICA
Veronasera.it, 25.03
http://www.veronasera.it/cronaca/coronavirus-violenza-domestica-25-marzo-2020.html
POVERTÀ
Il Gazzettino, 27.03 (N)
Povertà, in 70 famiglie hanno bisogno di aiuto – Camposanpiero (in allegato)
VARIE
Difesadelpopolo.it
https://www.difesapopolo.it/Mosaico/Csv-Padova.-Coronavirus.-Desideriamo-esserci-oltre-ogni-difficolta