Il Gruppo regionale “Servizi e Anziani nella gestione post Covid-19”, istituito presso l’Ordine degli Assistenti Sociali del Veneto, con focus sul ruolo del servizio sociale all’interno dei Centri Servizio residenziali e semiresidenziali per anziani, vuole porre all’attenzione dell’intera Comunità Professionale alcune criticità e riflessioni, emerse in questi mesi di emergenza sanitaria.
L’obiettivo è duplice: da un lato si desidera condividere la realtà di quanto sta accadendo nei Centri Servizi per evidenziare necessità e bisogni che attualmente non trovano risposte; dall’altro, si intende promuovere un pensiero sul ruolo del servizio sociale, nel momento in cui la fase acuta dell’emergenza sanitaria troverà la sua conclusione.

Il servizio sociale all’interno dei Centri Servizi sta attraversando una fase molto delicata, in cui l’approccio alla presa in carico considera esclusivamente le problematicità e le possibilità imposte e concesse dalla “malattia Covid-19”, pertanto le azioni professionali risentono della predominanza della lettura sanitaria – più che sociale – dei bisogni. Risulta evidente che, in questo momento, tutti i professionisti devono concorrere alla copertura di esigenze legate all’emergenza che, gioco forza, allontanano l’assistente sociale dal ruolo del servizio sociale in senso stretto e favoriscono la percezione di essere subordinati all’approccio sanitario. Attualmente ci vengono richiesti compiti e prestazioni, legati alla situazione contingente, fortemente condizionati dalla necessità di prevenire e contenere il contagio, allontanandoci da una lettura complessiva dei bisogni della Persona, il cui grado di salute non è rappresentato solo dall’assenza e/o presenza di malattia, ma investe anche tutte le dimensioni dell’individuo, dimensioni di cui il servizio sociale, nella pratica professionale, si occupa quotidianamente.

L’interrogativo più forte che avvertiamo è: quale forma sta assumendo la nostra professionalità e, soprattutto, quale forma assumerà in futuro? All’interno di una narrazione mediatica e di sistema che propone un’immagine dei Centri Servizi che si alterna tra una visione “pietistica” (poveri anziani rinchiusi, soli, fortemente a rischio) e una più accusatoria ( le “case di riposo contagiate”, l’ipotetico uso non corretto delle misure di protezione e prevenzione,..), cosa aspetta l’assistente sociale che opera all’interno dei Centri Servizi una volta cessata l’emergenza sanitaria, quando il contesto sarà comunque mutato e non si potrà semplicemente “tornare a come eravamo prima”?

Ci preme sottolineare come sia rilevante mantenere attivo il pensiero sull’ importanza della presa in carico della Persona nella sua complessità, il suo diritto a essere vista anche nelle sue altre molteplici dimensioni, non strettamente connesse alla presenza o assenza di malattia e soprattutto prefigurare fin d’ora strumenti e spazi in cui ri-collocare la persona al centro e re-agire, re-inventarsi da un punto di vista professionale, ribadendo la nostra volontà di rimanere sentinelle dei bisogni delle persone e, al contempo, responsabili della tutela e dello sviluppo della nostra professione.

Alla luce di questa premessa, ponendo risalto al grande impegno e alla dedizione con cui all’interno delle strutture residenziali e semiresidenziali operano tutti i professionisti che si occupano della presa in carico delle Persone fragili, vorremmo focalizzare alcuni aspetti che meritano di essere considerati e approfonditi:

  • la persona anziana al centro: pur nella difficoltà oggettiva di trovare strategie di intervento e vicinanza consentite dalle procedure di sicurezza anticontagio, è doveroso rilevare le difficoltà in cui si trovano gli anziani all’interno delle strutture, in assenza delle loro relazioni affettive, di stimoli socioeducativi e ricreativi strutturati e continuativi, di spazi significativi di incontro con l’Altro. Attualmente, l’attenzione maggiore è posta sugli anziani “positivi” e su un sistema che ha l’obiettivo di individuare, curare e arginare la malattia, con un inevitabile sguardo parziale sugli anziani “negativi” e sulle loro altre esigenze. Le Unità Operative Interne, momento elettivo in cui si pone al centro la Persona e occasione in cui il servizio sociale si è sempre fatto portavoce dei bisogni dell’anziano favorendo la presa in carico della molteplicità delle dimensioni dell’individuo e promuovendo la condivisione multidisciplinare di visioni e interventi, sono state sospese in funzione della riduzione del rischio di contagio e per lasciare spazio a compiti organizzativi più urgenti e inderogabili (programmazione e rendicontazione dei tamponi, copertura del personale in assenza, incombenze burocratiche e amministrative…), in cui il servizio sociale ha trovato nuova collocazione. Tuttavia, ci preme sottolineare con forza l’importanza di ripristinare il prima possibile le Unità Operative Interne, come spazio di riflessione multidisciplinare e di confronto approfondito sui bisogni della Persona e sulle risorse disponibili per garantire il soddisfacimento di questi bisogni. Il servizio sociale, che da sempre nelle strutture si adopera per la presa in carico della globalità della persona, dovrà essere sostenuto nel rispristino degli equilibri all’interno dell’équipe, caricata durante l’emergenza di grandi responsabilità, e nell’individuazione di nuovi percorsi per garantire alla Persona occasioni per riappropriarsi o appropriarsi in maniera diversa di dimensioni del Sé vitali, determinanti per il benessere e la qualità di vita. Sarà inoltre fondamentale, per il servizio sociale, tornare a caratterizzare professionalmente il momento dell’ingresso in struttura, tenere alta l’attenzione sulla dimensione sociale della vita degli anziani nella fase di inserimento e favorire un dialogo approfondito con tutti i servizi della rete per ricostruire percorsi adeguati, che diano risposte reali ed efficaci ai bisogni – vecchi e nuovi – che emergeranno in conseguenza dell’emergenza sanitaria.
  • la presa in carico del nucleo familiare: all’interno dei Centri Servizi, un aspetto chiave del ruolo del servizio sociale è sempre stato la cura della relazione con il nucleo familiare dell’anziano accolto, elemento fondamentale prima dell’ingresso in struttura e, a ragion veduta, dopo, quando i legami con la vita di prima si affievoliscono e i rapporti coi propri cari aiutano a tenersi ancorati alla propria identità. L’emergenza sanitaria, con un confine netto tra “chi sta dentro” e “ chi sta fuori” , ha reso difficile, per il servizio sociale, mantenere le forme comunicative canoniche con i familiari. Colloqui individuali, colloqui con l’intero nucleo familiare, momenti di incontro più o meno formalizzati sono stati sospesi e si sono privilegiati contatti telefonici (con facilità comunicative maggiori con i reparti e i coordinatori per il resoconto della situazione clinica) e, talvolta, colloqui su piattaforme, tendenti alla spersonalizzazione e limitanti di tutto il bagaglio relazionale ed emotivo solitamente messo in campo in setting adeguatamente preparati in presenza. L’inevitabile esito di questa carenza comunicativa, unito a un sentimento generale di sfiducia, preoccupazione e fragilità, è una frammentazione del legame, la mancanza di spazi adeguati in cui depositare i vissuti tragici legati alla pandemia, vissuti che sicuramente lasceranno un segno. Il ruolo del servizio sociale sarà allora quello di consapevolizzare i danni dell’assenza, tentare di dare significato ai vuoti creatisi nel tempo, riannodare i fili, nella speranza che la lontananza abbia comunque lasciato qualche spazio al mantenimento della memoria e non solo alle dissolvenze. I professionisti di servizio sociale dovranno essere pronti e preparati nel riaprire il dialogo, nel sostenere anziani e familiari nel loro riconoscimento e ricongiungimento, nel ripristinare una fiducia con l’équipe assistenziale che ha in via prioritaria esercitato anche funzioni affettive, solitamente demandate al nucleo familiare. Riaprire il dialogo sarà possibile con nuovi colloqui, in presenza o su piattaforma, ma anche predisponendo col contributo di altre professionalità momenti di incontro e condivisione delle difficoltà scaturite dall’emergenza sanitaria (gruppi di auto mutuo aiuto fra familiari?). La riapertura delle strutture rappresenterà un’importante occasione per il servizio sociale di esserci, per sostenere e accompagnare, per affiancarsi ad anziani e loro familiari in un percorso di reciproca nuova conoscenza.
  • il legame con il territorio: nella narrazione attuale, lo sguardo rivolto alle strutture residenziali e semiresidenziali tende a focalizzarsi esclusivamente sull’interno, tralasciando l’importanza del fatto che tali servizi sono inseriti, radicati e funzionali al territorio in cui operano. L’emergenza sanitaria e la conseguente temporanea chiusura dei Centri Servizio ha avuto importanti ripercussioni sul territorio: lo spettro del contagio all’interno delle strutture ha spinto alcune famiglie a scegliere di mantenere progetti di domiciliarità e, al contempo, la stessa chiusura delle strutture ha costretto molte famiglie a dover proseguire con la gestione a domicilio di situazioni altamente complesse, con un carico ancora maggiore sulle spalle dei caregivers, nella maggior parte dei casi già in condizioni di elevato stress. Concretamente, tutto ciò si è tradotto nella non risposta ai bisogni di un’importante platea di persone, nonché in una difficoltà di gestione delle dimissioni ospedaliere, private dei collaboratori non solo per i progetti di residenzialità definitiva ma anche temporanea e riabilitativa: si pensi solo al grande “vuoto” creatosi nell’ambito dell’accoglimento di persone affette da demenza con disturbi comportamentali dovuto alla difficoltà o assenza di disponibilità dei servizi residenziali e semiresidenziali impossibilitati a garantire gli isolamenti necessari e a coniugare le richieste di rispetto di rigidi protocolli con l’importanza di garantire assistenza altamente specializzata e complessa, difficilmente riconducibile a schemi predefiniti. Riteniamo che il servizio sociale debba focalizzarsi sulle criticità interne alle strutture, ma anche direzionare lo sguardo all’esterno, e che i servizi territoriali facciano altrettanto, nella stretta interrelazione tra territorio e struttura, favorendo il dialogo attualmente sospeso affinchè in futuro si possa ripensare insieme, nelle sedi più adeguate (l’UVMD prima di tutto), e re-investire in un sistema di servizi che sia in grado di rispondere in maniera più efficace ai bisogni della popolazione. La riapertura della struttura vedrà il servizio sociale, senza distinzione alcuna, impegnato nella riorganizzazione del sistema in cui il contributo di ciascun professionista sarà fondamentale per l’implementazione di risposte mirate ed efficaci ai bisogni della popolazione.

Nella condivisione quotidiana e nella speranza che l’emergenza sanitaria trovi una sua conclusione, la domanda che, come professionisti, ci sorge spontanea è: quali conseguenze avrà per la nostra professione questa pandemia, una professione che già prima di ora, all’interno delle strutture residenziali, correva spesso il rischio di farsi “ancella” del sanitario? L’attuale predominanza della lettura sanitaria dei bisogni della Persona sarà uno scenario da cui è possibile tornare indietro? I dubbi aperti restano moltissimi, in primis quello che si chiede quale tipo di integrazione socio-sanitaria sarà possibile garantire in futuro, quali percorsi dovranno necessariamente essere rivisti o implementati dal nulla per permettere alla Persona di trovare risposte a bisogni diversificati, che ancora una volta – e ancora di più – cercheranno di sottrarsi a logiche economiche, di sistema e organizzative univoche e/o monofocali.
E’ evidente che questi quesiti, in piena emergenza sanitaria, non trovano spazio per essere oggetto di discussione e confronto, in un momento in cui le risorse e le forze professionali sono impegnate nella gestione dell’emergenza in senso stretto. Ci sembra altresì opportuno condividere questi dubbi con l’intera comunità professionale, segnalando il rischio che, all’interno dei Centri Servizi, le condizioni imposte dall’emergenza stessa diventino la normalità e ribadendo al tempo stesso con forza l’importanza di una presa in carico realmente integrata, di una visione d’insieme della Persona, delle sue risorse e delle sue fragilità in costante evoluzione, per garantire – come è proprio degli intenti del servizio sociale – la giusta attenzione alla Persona nella sua globalità e complessità, che ci ricorda sempre chiaramente la ricchezza dell’individuo, delle sue potenzialità, della sua unicità.

 

Il Gruppo di lavoro
“Servizi e Anziani nella gestione post Covid 19”
Regione Veneto