Una coppia che si ritrova in una casa di riposo e una coppia che si credeva solida e invece non lo era
Siamo in Veneto e questa storia riguarda due persone anziane, marito e moglie, che entrano, a distanza di 4 mesi una dall’altro, nella casa di riposo dove io lavoro come Assistente Sociale. La struttura accoglie più di 200 persone ed è organizzata per “nuclei” ciascuno dei quali ospita non più di 30 persone. La Sig.ra Ester entra in casa di riposo in primavera: è una signora minuta, piccola e magra, e arriva in struttura perchè malata di demenza. E’ sposata con il Sig. Antonio e la coppia non ha figli. Vivono in un piccolo paese di campagna, ma da diversi mesi ormai il marito di Ester non è più in grado di assisterla a casa. Ester non è in grado di badare a se stessa, le va ricordato di vestirsi e di lavarsi, bisogna prepararle da mangiare, non riconosce più il valore dei soldi, spesso si disorienta anche in casa. Il marito Antonio non è solo anziano: anche in lui la demenza comincia a farsi strada, anche se nel suo caso sono preservate molte più autonomie. L’assistenza organizzata a domicilio ad Ester non basta più: l’accoglienza in una struttura diventa una soluzione obbligata. Quando arriva da noi non fatica ad adattarsi: divide la camera con un’altra ospite, pian piano si ambienta agli spazi e prende confidenza con gli operatori; raramente chiede del marito Antonio, e noi tutti cominciamo a voler bene a questa piccola donna dagli occhi grandi, docile e tranquilla, ma persa nel suo mondo. Nessuno di noi conosce altro di lei: non ha figli che abbiano potuto raccontarci la sua storia di vita, il marito è anch’egli persona non autosufficiente e lei stessa non è in grado di esprimere dei pensieri strutturati e quindi in grado di raccontarci di se, se non per brevi flash spesso senza un filo logico. Passano così 4 mesi, fino a quando ci comunicano che anche per il Sig. Antonio c’è la possibilità di un ingresso in struttura e questa struttura siamo noi: abbiamo alcuni posti letto liberi e accordiamo l’ingresso. Facciamo di più: ci organizziamo in modo tale che il Sig. Antonio possa essere accolto al nucleo Gelsomino, quello di Ester. Riusciamo a liberare un posto letto e soprattutto, cosa vista assai poco nella mia esperienza di lavoro, nella camera di Ester! Per la prima volta dopo anni, il nucleo Gelsomino vede nascere una camera mista – uomo/donna – che consentirà alla coppia di tornare a condividere un percorso di vita insieme.
Ma il bello di questa storia viene adesso e riguarda ciò a cui ho assistito la mattina in cui Antonio arriva in struttura con le sue valigie, accompagnato dalla sua Assistente Sociale. Scende dalla macchina un uomo alto quasi 1 metro e 90, robusto, ben piantato sui piedi e con le spalle larghe; ha un’aria confusa, a tratti contrariata, ma è stato in grado di capire che qui si trova la sua Ester, che lo sta aspettando. In realtà non è così: ad Ester è stato detto dell’arrivo di Antonio, ma l’informazione non l’ha trattenuta, le è scivolata via tra le tante cose che si affacciano alla sua memoria interrotta. Ester c’è, ma non lo sta aspettando. Cammina come suo solito nelle prime ore della mattinata, lungo il corridoio, in un andirivieni consolatorio in cui lei trova un po’ di pace e un suo ordine… Quando saliamo ed entriamo nel nucleo, il Sig. Antonio è al mio fianco: gli do il benvenuto e lui mi ascolta, senza guardarmi.
Davanti a noi il lungo corridoio da attraversare, alcuni operatori affaccendati con il carrello della biancheria, una infermiera da metà corridoio ci vede e ci viene lentamente incontro: ci aspettava. E dietro di lei, con l’aria assorta, viene in qua anche un’altra figura, camminando radente il muro e appoggiata con leggerezza al corrimano, lo sguardo basso, un passo dopo l’altro. Io vedo che è Ester e guardo Antonio; guardo lui perchè voglio vedere se lui la vede; guardo Ester che si avvicina e mi dico “alzerai gli occhi? vedrai quest’uomo e lo riconoscerai?”. Lo spazio tra loro si accorcia: arriva prima l’infermiera, che stringe la mano ad Antonio che ricambia, dall’alto della sua statura. Ma ecco che succede… lui la vede… lui la riconosce… Rimane fermo e lo sguardo segue la sua donna, e la aspetta. Sono io che mi allontano un poco da lui e raggiungo lei, e la saluto, attirando la sua attenzione e i suoi occhi, che si staccano dal pavimento e guardano verso di me, poi verso il nuovo ospite. Si fermano su di lui, mentre io la prendo sotto braccio e la porto con me verso il marito. Lei mi segue e continua a guardarlo: vieni Ester, guarda chi è arrivato… le dico io nell’incertezza di ciò che può succedere… Lei si fa condurre, è sempre così docile, e ormai siamo a due passi da lui: lei ha i suoi occhi nei suoi, lui sta già sorridendo… Parla Ester e dice tenendogli gli occhi addosso “Sito ti me marìo?” (sei tu mio marito?). Lui allunga il suo braccio e la sua mano, e la tocca, avvicinandola a sè e a me sembra che il mondo per un istante si ricomponga.