IMMIGRAZIONE, DISABILITA’ E DISAGIO PSICHIATRICO IN VENETO DUE PROGETTI MODELLO PRESENTATI ALLA GIORNATA MONDIALE DEL SERVIZIO SOCIALE – ZAMBELLO: “APPROCCIO DI COMUNITA’ PER L’INCLUSIONE”

Gli assistenti sociali del Veneto e gli atenei di Venezia, Padova, Verona, Padova e Venezia hanno celebrato insieme il World Social Work Day con un evento online, oggi, martedì 28 marzo. Sono state presentate un’esperienza innovativa dedicata alle mamme migranti con figli disabili attivata dal Comune di Venezia e dall’Aulss 3 e due progetti per l’inserimento lavorativo dei pazienti dei centri di salute mentale proposti dalle Aulss 2 e 3.

Padova, 28 marzo 2023 – Il tema, quest’anno, è la diversità, grande sfida di questo tempo anche per gli assistenti sociali e per il welfare, europeo, italiano, veneto. Il World Social Work Day 2023 è stato celebrato oggi, martedì 28 marzo 2023, anche in Veneto, con un convegno online, molto partecipato, organizzato come da tradizione dall’Ordine degli Assistenti Sociali del Veneto, in co-organizzazione con l’Università di Cà Foscari di Venezia e con la collaborazione delle Università di Padova e Verona.
L’evento, intitolato “Rispettare la diversità attraverso un’azione sociale comune”, è stato aperto dalle parole di Mirella Zambello presidente del Consiglio dell’Ordine degli assistenti sociali del Veneto che rappresenta i professionisti del servizio sociale che operano in Veneto, oggi 3363, +4,18% rispetto al 2018, 609 dei quali impegnati in ambito sanitario, 1013 negli enti locali, 567 nelle cooperative sociali, la parte restante in altri servizi (giustizia, prefetture, centri servizi..). “Cruciale – ha spiegato la Presidente – appare il ruolo delle comunità, che rendono possibili i processi di valorizzazione delle diversità, di inclusione delle persone e delle diverse culture, cercando interventi innovativi e generativi”. Per Zambello, “nell’approccio di comunità gli assistenti sociali nella loro azione, hanno la possibilità di valorizzare le risorse che sono presenti nei contesti comunitari per attivare azioni partecipative, verso obiettivi condivisi”. Zambello ha ricordato il ruolo delle comunità nella gestione ambientale, in modo autogestito o attraverso “Patti di gestione dei beni comuni”, così come la partecipazione sociale ai progetti di riqualificazione urbana e “le azioni sociali partecipative che includono e che facilitino l’incontro delle diversità”.

Ai saluti di Giuseppe Barbieri, direttore del Dipartimento di Filosofia e Beni culturali dell’Università Ca’ Foscari, di Barbara Da Rolt, presidente dei Corsi in Scienze della società e del servizio sociale e lavoro, cittadinanza, interculturalità dell’Università Ca’ Foscari, di Massimo Zuin, direttore dei Servizi Sociali dell’Azienda Ulss 3 e di Simone Venturini, assessore alle Politiche Sociali del Comune di Venezia, sono seguiti gli interventi di Brunella Casalini dell’Università degli Studi di Firenze e di Walter Lorenz, già Rettore della libera Università di Bolzano. Nella seconda parte della mattinata sono state presentate due significative esperienze di inclusione e di innovazione di servizi, la prima rivolta a madri immigrate con figli minorenni, la seconda a persone con disagio psichico (di seguito in dettaglio). La giornata è stata chiusa dagli stimoli proposti dagli studenti degli atenei di Venezia, Padova Verona e Venezia.

Disabilità e immigrazione: a Venezia, Comune, Ulss e mamme contro una doppia vulnerabilità

A Venezia gli assistenti sociali di Comune e Aulss 3 hanno costruito un progetto che è già un modello, all’incrocio tra i nodi della disabilità e dell’immigrazione. Un’esperienza che coinvolge innanzitutto le donne, madri di bambini con vari livelli di disabilità, che utilizza stabilmente la mediazione culturale come metodo e coinvolge servizi sociali di enti diversi, il comune e l’Asl. Altamente innovativo nel metodo e incoraggiante nei risultati, potrebbe fare scuola non solo in Veneto ma in tutta Italia, visto che, a quanto risulta, è un unicum e ha già sollevato l’interesse di Comuni in Emilia-Romagna.
“Siamo partiti nel 2018, da una constatazione”, spiega Maura Dalto, assistente sociale del servizio di neuropsichiatria infantile dell’Aulss 3 Serenissima che ha presentato il progetto al WSWD 2023 con le colleghe Chiara Gardinale, servizio disabili minori del Comune di Venezia e Michela Boscolo Fiore, ex del servizio Pronto intervento sociale, inclusione e mediazione del Comune di Venezia. Una constatazione davvero problematica: “L’aumento dei bambini certificati, figli di genitori con background migratorio e il difficile coinvolgimento delle loro famiglie nel percorso terapeutico, educativo e scolastico”, dice Dalto.
Le ragioni sono intuibili: “Le famiglie migranti con figli con disabilità – spiega Gardinale – sono soggette a una doppia vulnerabilità: si trovano senza reti supporto, spesso con problematiche socioeconomiche o abitative, e la disabilità dei figli comporta anche rappresentazioni del problema da parte dei genitori che non coincidono con i modelli di cura e le rappresentazioni che abbiamo noi. Questo progetto nasce proprio perché ci si è resi conto che oltre all’aumento del numero delle certificazioni c’era una difficoltà nel comunicare con queste famiglie, nel far comprendere loro la diagnosi e le reali problematiche dei bambini. E questo comportava poi anche una scarsa efficacia degli interventi”.
Come ha rivelato lo stesso percorso che ha ascoltato le donne coinvolte, le madri di famiglie migranti che affrontano questa difficoltà si sentono spesso sole e con il peso di una condizione che viene, talvolta, per ragioni culturali, vissuta come frutto di una colpa, di un peccato commesso, anche per ragioni religiose.
I servizi del comune di Venezia decidono allora di attivare dei corsi di italiano dedicati a mamme con figli con disabilità. “Si è iniziato a ragionare intorno a una progettualità condivisa tra i servizi della Città di Venezia e il servizio di neuropsichiatria dell’Aulss 3 per capire che risorse mettere in gioco. E si è definito un format specifico”. All’interno del corso di italiano vengono attivati incontri laboratoriali di tipo artistico, con musicoterapeuti, arte e teatro-terapia, e sempre in presenza di mediatrici linguistico-culturali. “Un aspetto, questo della mediazione culturale – dicono Gardinale e Dalto – che davvero riteniamo imprescindibile e che dovrebbe diffondersi di più come prassi nei servizi sociali”.

Si superano così barriere che prima sembravano insormontabili, le mamme cominciano a sentirsi meno isolate: “Una volta conclusi questi corsi è successo che le mamme ci hanno chiesto di continuare in qualche modo perché avevano trovato uno spazio importante in cui condividere non solo informazioni ma anche i vissuti ed emozioni che sono spesso di vergogna e di solitudine per la disabilità dei figli”.
E così che dal 2020 in poi è nato un gruppo che si riunisce il mercoledì mattina una volta al mese con 15-20 mamme di nazionalità diversa. E il gruppo si è rafforzato nel tempo anche grazie alle partecipanti. Alcune mamme, dopo aver partecipato a un corso apposito, sono diventate soggetti attivi: “Aiutano altre mamme che sono all’inizio del percorso di presa in carico dei servizi per la diagnosi del bambino. Hanno avuto un’esperienza simile per cui conoscono il problema e vengono riconosciute come aiuto credibile”.
Con molte scuole, specie le più interessate dal fenomeno migratorio, è già stata attivata una buona collaborazione. E ora si punta a diffondere l’esperienza, anche per migliorarla: “Il coinvolgimento di altri enti è molto importante, per arricchire quello che abbiamo fatto”, dice Dalto.

Job placement e disagio mentale: l’esperienza vincente del servizio sociale di due Aulss venete

Di grande interesse anche l’esperienza avviata, con due progetti distinti, da Aulss 2 e Aulss 3 e presentata rispettivamente dagli assistenti sociali Micaela Alari e Marco Ceresa. La sfida di partenza è quella di supportare le persone con disabilità psichiatrica nella ricerca di un lavoro sul libero mercato competitivo anziché, come avviene generalmente, attraverso canali dedicati quali i percorsi di inserimento lavorativo in cooperative di tipo B, i percorsi di formazione e lavoro o gli inserimenti “protetti”.
Una proposta innovativa basata sulla metodologia dell’Individual Placement and Support, modello sviluppato negli Stati Uniti all’inizio degli anni Novanta, ma la cui applicazione è ancora limitata nel nostro Paese: i casi delle due Aulss sono le uniche esperienze attivate in Veneto, anche se altre aziende sociosanitarie stanno guardano con interesse a queste proposte.
La persona in carico al Dipartimento di salute mentale viene quindi affiancata nella ricerca di lavoro da un operatore IPS opportunamente formato che resta dietro le quinte e non ha una funzione di intermediazione con l’azienda: a differenza di altre forme di inserimento, in cui il contratto è fra i Servizi sociali e la cooperativa o l’impresa, in questo caso si instaura a tutti gli effetti un normale rapporto di lavoro. Una volta che la persona ha trovato un impiego, il percorso non si esaurisce, ma è previsto un supporto continuo al lavoratore da parte dell’operatore IPS, che interviene sempre in stretta sinergia con l’equipe multidisciplinare del Centro di salute mentale, per monitorare l’andamento e offrire supporto nel dirimere difficoltà e problematiche che la persona può incontrare nel proprio quotidiano lavorativo. Tutti gli studi sul metodo IPS, che costa meno rispetto agli altri strumenti di inserimento lavorativo, hanno rilevato come i risultati siano migliori: le persone seguite in questo modo mantengono più a lungo l’impiego e hanno un salario più alto, si riduce anche l’impatto in termini di spesa medica e di ospedalizzazione.
“Il lavoratore che trova impiego sul libero mercato ed entra nell’impresa senza lo stigma della disabilità – spiega inoltre Alari – acquista una grande autostima e questo spesso produce anche un miglioramento dei sintomi”.
I dati delle due esperienze attivate in Veneto, che fanno entrambe capo alla rete nazionale dell’Associazione Ipsilon, confermano il valore del metodo: nell’Aulss 2 al 31 dicembre 2022 gli utenti seguiti erano 64, 18 i nuovi percorsi attivati lo scorso anno. Il 71% ha svolto almeno un’attività lavorativa nel corso dell’anno, fra questi l’83% ha espresso soddisfazione rispetto all’esperienza. Nell’Aulss 3 sono state 141 le persone seguite in totale dall’avvio del progetto, il 67% ha trovato almeno un lavoro, solo il 20% ha concluso la propria esperienza prima dei termini contrattuali.
“Anche i dati relativi al tipo di occupazione -precisa Ceresa – sfatano alcuni luoghi comuni che vorrebbero questi lavoratori impiegati solo nell’agricoltura o in fabbrica in lavori di assemblaggio. L’84% è infatti occupato nel terziario”

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